Via Giulia e dintorni
Bisogna venirci, a Campo de’ Fiori, per capire l’effetto che fa.
Arriva un taxi, fine corsa davanti ad un’esplosione rossa di stelle di Natale e ghirlande di pomodori, tulipani, peperoncini e rose. A bordo, una donna bionda, non più giovane, che rimane seduta, immobile, un sorriso improvviso, gigantesco e gli occhi accesi dai colori di fuori.
Campo de’ Fiori garantisce quest’impatto, sempre.
Anche se non è più quello d’un tempo, come lamentano gli ambulanti che, qui, hanno trascorso una vita.
“Si vede dalla qualità delle bancarelle del mercato“, racconta Stefano Fulvi, fioraio figlio d’arte, nato e cresciuto tra i fiori che la madre Rossana ha venduto ai romani del centro storico per mezzo secolo.
“Una volta erano tutti artigiani e coltivatori diretti. Decine di banchi di frutta e verdura e di alimenti a chilometro zero (quando questa non era rarità, ma consuetudine). Oggi, vedo omologazione. Genere bazar. Si è perduto un po’ di quello che era il profumo di Roma“.
Prospettiva diversa quella di Pippo Nicosia, ex poliziotto, fiorista dirimpettaio del Fulvi.
“Sono qui dal 1988 e negli anni ho visto, sì, un cambiamento, ma in positivo. Non solo non si sono perse la tranquillità, la familiarità che si respirano qui, ma la piazza è meglio frequentata. Non c’è più certa gentaglia che qui abitava o girovagava. C’è stata una sorta di epurazione naturale. E ci è rimasto il piacere di conoscerci tutti, di stare bene insieme, chiacchierare, mangiare le golosità del forno storico, prima o dopo un bicchiere di vino davanti a Giordano Bruno o ad una mitica carbonara nel ristorante che si chiama proprio così, La Carbonara“.
Il giretto qui, la mattina, il sabato soprattutto, è un rito sociale.
Politici, professionisti, artisti: tutti qui al Campo, anche solo per un passaggio, sole in faccia e mani unte dalla “rossa”, la più romana fra le pizze.
Pippo fa anche l’opinionista. Augusto Cantelmi, giornalista di Tv2000, lo interpella periodicamente su temi d’attualità. Tra un’intervista alla Boschi e una a Razzi, ecco che spunta Pippo il fioraio, con le sue perle di saggezza.
L’occhio azzurro di Stefano (che, qui, si narra, avrebbe mietuto vittime, quand’era fanciullo, ben prima di conoscere l’adorata moglie Marina) si inumidisce quasi al ricordo di una giovinezza spesa fra girasoli e gladioli. Essere ragazzi a Campo De’ Fiori, negli anni ottanta, deve essere stata un’esperienza da gonfiare il cuore. Vien da pensare che qualsiasi cambiamento non potrebbe che generare nostalgia.
Mentre parliamo, si compongono bouquet e ceste multicolori. Vanno veloci, i ragazzi.
Sui biglietti per le spedizioni, nomi conosciuti. I vip, qui, sono di casa.
“Mara Venier abitava lassù“. Stefano ci indica le finestre che affacciano sulla piazza. “Ma è sempre stata talmente alla mano che non riesco a definirla ‘vip’. Che, poi, i migliori sono così: semplici, disponibili“.
Via vai di rami di pino e gigli bianchi.
Arriva un senatore e mostra a Pippo le foto fatte la sera prima: ha consegnato al cantautore Vinicio Capossela un mazzo di rose con i colori della bandiera italiana, confezionato dal fiorista. “Con te, bella figura assicurata“, gli dice.
Pippo sorride, si schermisce quasi.
I fiori hanno un carico simbolico importante. E per ogni omaggio floreale ricevuto con serenità, ce n’è almeno un altro che ha scatenato passioni, persino litigi e scenate.
“Centinaia di rose rosse, con consegne giornaliere, per tentare di riconquistare l’ex moglie, invano“, ricorda Pippo. “Ma anche enormi bouquet che un corteggiatore, barista qui all’angolo, mi faceva portare alla ragazza del suo cuore, figlia del pizzaiolo di fronte e che, puntualmente, venivano sbattuti a terra e calpestati dal padre di lei, contrario a quell’amore“.
La vita del Campo è costellata di aneddoti gustosi, che fanno dimenticare d’essere in una metropoli.
Tempi, relazioni personali, sapori: qui è tutto a dimensione d’uomo.
Dai balconi delle palazzine ocra si affaccia qualcuno e guarda giù, tra le tende dei mercanti e i tavoli dei bar e dei ristoranti. I piccioni e i gabbiani approfittano delle verdure cadute a terra. Ci si appoggia alle fontane – anche se non si potrebbe e, certo, bello non è – per uno spuntino.
I turisti con il trolley di Vuitton si fanno un selfie davanti a questo caleidoscopio, ma poi vanno a comprare i maccheroni tricolore, ricordo spiccio per raccontare la tappa italiana.
Certo, il calore umano che si respira qui, l’atmosfera da borgo, da mercatino di paese, che fa sentire a casa e fra amici anche chi viene da lontano, non è facile da infilare in un barattolo.
Non escludiamo, comunque, che sia possibile farlo. Ecco, magari diamo un’idea souvenir.
Aria di Campo de’ Fiori sotto vetro.