Via Giulia e suoi dintorni

Dei quarantotto ponti, sul Tevere e sull’Aniene, presenti attualmente a Roma, il ponte di Sant’Angelo è considerato il più bello.

Via Giulia è a pochissima distanza dal ponte che collega il lungotevere Vaticano a piazza di Ponte Sant’Angelo.

L’opera, probabilmente firmata dall’architetto Demetriano, venne realizzata nell’anno 134 per volontà dell’imperatore Adriano. Sarebbe infatti servita per fungere da collegamento tra la riva sinistra del fiume Tevere e il mausoleo di Adriano, cioè a dire quello che oggi è chiamato Castel Sant’Angelo. Anche per questo il ponte in origine si chiamava pons Hadriani.

via giulia roma

I materiali utilizzati furono peperino e travertino. Originariamente aveva tre arcate. Quando, nel 1893, vennero costruiti gli argini del Tevere, il ponte venne ristrutturato e anche le arcate vennero modificate e rese più moderne.

Ciò che rende così spettacolare ponte Sant’Angelo, però, è sicuramente la sfilata di statue che lo adornano.

Fu papa Clemente VII, nel 1535, a decidere che alle estremità di ponte Sant’Angelo venissero apposte le sculture raffiguranti san Pietro e san Paolo, figure cardine sulle quali poggia la storia della Chiesa. L’uomo della prima pietra e il più grande missionario. Ad arricchire l’estetica dell’opera, vennero poi fatte poggiare sul ponte anche le statue che rappresentano Luca, Matteo, Giovanni e Marco, gli evangelisti. Poi, vennero i patriarchi: Adamo, Noè, Abramo e Mosè. Tutte opere, ad esclusione di Pietro e Paolo, che oggi non sono più presenti.

Bisognerà aspettare oltre 130 anni, invece, per vedere sul ponte Adriano i dieci angeli che tuttora ne sono il simbolo. Correva l’anno (come si dice in questi casi) 1669 e il pontefice Clemente IX diede l’ordine di ricostruire il parapetto di Ponte Sant’Angelo. Non diede l’incarico al primo venuto, certo. Si trattava infatti del napoletano Gian Lorenzo Bernini, maestro indiscusso del Barocco. Se Piazza San Pietro vi dice qualcosa.

Poggiata sul parapetto nuovo, la decina angelica, scolpita sì dai discepoli, ma del Bernini: ogni figura alata ha con sé uno degli oggetti della Passione di Gesù, gli strumenti con i quali Cristo venne torturato.

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Troviamo l’angelo coi flagelli e quello con la spugna, la corona di spine e il sudario, la veste e i dadi, la croce, il cartiglio, i chiodi, la lancia e la colonna. Completano le opere le iscrizioni latine che fungono da didascalia alle statue stesse.

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Il ponte che porta al “setaccio” (pure così venne soprannominato il castello romano) fu anche teatro di avvenimenti tragici. Troppi i pellegrini che, per il giubileo del 1450 lo attraversarono, tutti insieme. Un peso eccessivo per la struttura, che crollò. I testi dell’epoca raccontano di molte persone morte. In conseguenza al fatto, venne modificata l’urbanistica del luogo, con l’abbattimento di edifici che si trovavano in prossimità dell’entrata del ponte, in modo da scongiurare l’effetto imbuto.

Non basta: in un palazzo che oggi non esiste più e che si affacciava sul ponte, venivano uccisi i condannati a morte, che poi venivano barbaramente esposti sul ponte. Perché tutti i cittadini ne traessero insegnamento.

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In tempi molto più recenti, l’opera demetriana e il castello antistante hanno fatto da sfondo a vicende ben più leggere. Come, ad esempio, il film Angeli e Demoni del regista Ron Howard. Il protagonista, il professor Langdon, nella scena finale attraversa Ponte Sant’Angelo, per poi raggiungere le stanze del papa, tramite il cosiddetto “passetto” (un corridoio coperto che unisce il castello a San Pietro). 

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In via Giulia 145, Palazzo Ricci